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Rivista di archeologia e architettura antica

Gli autori e i loro contributi

 

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Gli autori e i loro contributi

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A. Acciani, A. Cagnazzo, T. De Venuto, G. Di Liddo, E. Lacalamita

Un’immagine ritrovata: i Propilei di accesso al Foro Triangolare di Pompei

Parole chiave: Pompei, Propilei, Foro Triangolare, anastylosis, ordine architettonico, restauro in antico

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 Il progetto di restauro dei Propilei di accesso al Foro Triangolare di Pompei nasce a seguito di una convenzione stipulata tra il DICAR del Politecnico di Bari e la Soprintendenza Speciale  per i Beni Archeologici e prevede, a seguito di uno studio analitico dell’esistente, dei documenti di archivio relativi ad interventi pregressi, delle vedute e foto d’epoca, un intervento di anastylosis del portico, da effettuare nel rispetto dell’autenticità e della materia antica. In particolare, si propone il rimontaggio dei blocchi in crollo di certa attribuzione, presenti in situ, e quindi la ricostruzione di due intercolumni, assemblati a secco ed integrati con rocchi realizzati ex novo, necessari alla composizione dell’ordine.
Il carattere conservativo della proposta, che persegue i criteri di distinguibilità, potenziale reversibilità e compatibilità dei materiali delle aggiunte con quelli antichi, è da individuare  nella possibilità di reimpiegare e quindi conservare tutti i frammenti in situ, evitandone l’ulteriore compromissione. Da un punto di vista strutturale, poiché sotto l’azione del solo peso  proprio della fabbrica non sono verificate significative deformazioni, si dimostra che tale integrazione andrebbe solo a stabilizzare il suo comportamento statico e, in particolare, il muro posteriore orientale, allo stato di fatto slegato dalla fronte colonnata. Ulteriore fattore discriminante per la scelta progettuale è stata, infine, la necessità di attestare e testimoniare la  presenza di un restauro compiuto in antico sul monumento, in seguito al terremoto del 62 d.C., la cui prova sostanziale risulta oggi fornita dal superstite blocco della base d’anta  orientale e dal relativo tassello: il primo di nuova fattura, il secondo di reimpiego. Nel complesso, l’intervento si propone di tornare a conferire al monumento l’originario carattere  spaziale, reinserendolo nel paesaggio urbano e riproponendo la sua monumentalità nel prospetto lungo la strada, e di offrire al visitatore, oltre alla sua leggibilità immediata, anche  un’immagine più organica.

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A. Acciani, A. Cagnazzo, T. De Venuto, G. Di Liddo, E. Lacalamita

Pompei: un emporio tra Roma, Sicilia ed Asia Minore.

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Il seguente studio, sviluppato nell’ambito di una convenzione stipulata tra il DICAR del Politecnico di Bari e la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici, si propone di approfondire una visione di Pompei specie per quanto riguarda l’impatto della sua visione nel paesaggio circostante.

Partendo dalla raccolta dei dati di scavo sui ritrovamenti di manufatti arcaici, poi confrontati con i resti di strutture in pappamonte del medesimo periodo, si è innanzitutto confutata la tesi sul nucleo primitivo della città, il cosiddetto Altstadt. In secondo luogo, osservando la planimetria di Pompei, si è giunti alla formulazione di nuove ipotesi circa l’appartenenza di caratteristiche maglie urbane a specifici momenti storici; i risultati più interessanti riguardano i secoli VI, IV e II a.C.

Soffermandosi, infine, sulla particolare ubicazione della città su di un costone lavico dominante la rotta fluviale del Sarno, e su una delle aree più antiche e controverse di essa, il Quartiere dei Teatri ed il Foro Triangolare, si è approfondito lo studio del fenomeno di rinnovamento che caratterizzò Pompei tra fine III e II a.C. La città, infatti, governata da élites aristocratiche sannitiche, entrate in contatto con la realtà delle popolazioni siceliote, magnogreche e con la stessa Roma repubblicana, attua allora un intenso programma di monumentalizzazione delle aree sacre e civili, oltre che una rivisitazione del suo stesso impianto. Gli elementi architettonici di cui si munisce, primo fra tutti le mura, tessono un fil rouge tra la città campana e gli emporia ellenici, congiungendo l’Attica, l’Asia Minore e la Sicilia, in un arco cronologico che abbraccia ben cinque secoli, dal VI al II a.C., e che lancia un medesimo messaggio politico ai centri e alle genti che con esse entravano in contatto: il potere di cui essa era dotata ed i numi dai quali era tutelata. Le torri, il santuario di Venere, il tempio Dorico, disposti lungo il costone sul Sarno, assieme alle sostruzioni basamentali e alle terrazze di nuova edificazione delle sontuose abitazioni offrivano ai naviganti e a chi approdava in città dal mare un suggestivo paesaggio urbano, ma soprattutto, un forte impatto scenografico che palesava, sopra ogni altro, una condizione di potere e ricchezza.

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S. Aiosa

Arrivare a Sabratha. La città e la sua immagine

Parole chiave: Tripolitania, Leptis Magna, Sabratha, foro, porto, urbanistica della città romana

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Sullo sviluppo urbanistico dei due più noti emporia di Tripolitania è stato scritto molto, cercando di cogliere il senso di alcuni evidenti cambiamenti nel tracciato dei più importanti assi viari e verificando come le nuove imprese architettoniche si siano man mano adeguate alle “anomalie” del tessuto urbano.

A Leptis la grande via colonnata costituisce la concretizzazione più evidente di una delle fonti di ricchezza della regione. La città mostra di aver adeguato continuamente alla sua espansione i suoi percorsi interni, mutandone la funzione da direttrici di traffico a percorsi “di rappresentanza”. Riguardo a Sabratha, ad essere difficilmente intellegibile è proprio la logica sottesa ad ognuna delle sue principali fasi di sviluppo urbanistico.

In età ellenistica l’emporio conoscerebbe un adeguamento al modello fissato da Alessandria. Difficile è trovare un effettivo riscontro di tale processo nella pianta della città: l’agorà della Sabratha punica sarebbe stata di estensione estremamente limitata, in contrasto con la sua naturale vocazione di sbocco a mare delle vie carovaniere. Ciascuna fase di espansione urbana sembra riguardare esclusivamente il costruito e non prevedere nessuno sviluppo successivo procedente secondo delle direttrici prestabilite.

Questa apparente mancanza di un approccio globale alla progettazione urbana si riflette su un altro aspetto: a differenza di Leptis, dove il grande porto severiano costituiva certamente un enorme potenziamento del precedente neroniano ma pure contribuiva in maniera significativa a determinare l’immagine della città per chi transitasse per mare, a Sabratha continua a permanere l’idea di un porto “diffuso” , quasi invisibile. In sostanza, Sabratha non avrebbe “curato” la sua immagine dal mare. A differenza di altre città portuali, il cui fronte a mare costituiva una sorta di “biglietto da visita” da offrire ai naviganti, Sabratha sembra aver riservato più attenzione all’immagine che si offriva a chi provenisse dalle vie interne. Si cercherà di indicare come la creazione di una seconda piazza forense nell’area di espansione verso Est potrebbe segnare un cambiamento di prospettiva.

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S. Alfarano

Architettura dei riti conviviali nell’Egitto Tardoantico

Parole chiave: stibadia, convivium, élites, urbanistica, tardoantico

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Il contributo si focalizza sull’analisi delle sale da banchetto di età tardoantica rinvenute in Egitto, con particolare attenzione all’insediamento di Amheida, l’antica Trimithis, situata nella parte occidentale dell’Oasi di Dakhla.

Le indagini stratigrafiche effettuate dalla missione archeologica della New York University hanno portato alla luce, in prossimità di una domus residenziale databile alla seconda metà del IV sec. d.C., una sala da banchetto a pianta rettangolare con doppio pilastro e con stibadium in mattoni crudi. Il vano è strettamente connesso con il sontuoso apparato iconografico che decora gli ambienti principali della stessa abitazione. Tra le scene figurate è significativa la presenza di un gruppo famigliare durante un pasto conviviale. L’analisi topografica dell’abitato ha inoltre permesso di individuare altre 25 sale rettangolari con pilastri centrali, orientate quasi tutte in senso nord-sud, molte delle quali presentano una stretta connessione con gli ambienti decorati censiti nel sito.

La classificazione tipologica degli stibadia rinvenuti in Egitto, l’analisi degli schemi planimetrici dei vani ad essi connessi, e il confronto con gli esemplari rinvenuti nel bacino del Mediterraneo consentono di evidenziare sia l’adesione a precisi modelli architettonici, diffusi a partire dal III sec. d.C., sia le variazioni regionali e l’evoluzione diacronica di tali strutture.

In relazione alla loro destinazione d’uso è doveroso considerare, per la sfera pubblica, il fenomeno delle associazioni religiose e la loro relazione con i deipneteria di età imperiale. Nella sfera privata il banchetto diventa per le aristocrazie una delle sedi in cui ostentare la propria posizione all’interno della gerarchia sociale. Le sale destinate ad ospitare il convivium diventano perciò spazi architettonici di auto rappresentazione i cui modelli formali riflettono il potere economico e politico delle élites cittadine.

Lo studio di queste strutture contribuisce pertanto ad evidenziare lo stretto rapporto tra riti conviviali e architettura domestica ed enfatizza il ruolo di quest’ultima all’interno del paesaggio urbano di età tardoantica.

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L. Arcifa, N. Giuffrida, F. Trapani

Architettura tra rappresentazione scenografica e sacra rappresentazione. Il complesso monumentale di S. Agata a Catania

Parole chiave: Catania, tempio su podio, culto imperiale, santuario su terrazza, romanizzazione, sepolture ad sanctos

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Il contributo intende esaminare le trasformazioni del settore nord-orientale del centro storico di Catania, a partire dalla organizzazione monumentale di età imperiale fino agli esiti moderni. Si tratta di un’area fortemente condizionata dal salto di quota (ca. 20 metri) della collina di Montevergini (sede della primitiva colonia calcidese), che segna il ‘confine’ naturale tra area urbana e extraurbana nella città romana. La peculiare conformazione orografica determina nel tempo soluzioni diversificate che valorizzano il dislivello a fini difensivi –come nel caso della città greco arcaica o medievale- o ne esaltano la naturale propensione scenografica come in età romano-imperiale e poi nuovamente nella ricostruzione urbana post terremoto (1693).

Esamineremo, nello specifico, il contesto monumentale composto attualmente dalle chiesa di S. Agata la Vetere e di S. Agata al Carcere al cui interno, parzialmente obliterato dalle fabbriche medievali e moderne, è stato riconosciuto un tempio su podio entro recinto, databile entro la seconda metà del II secolo d.C. le cui caratteristiche tipologiche hanno consentito di ipotizzare un culto imperiale. L’impianto complessivo si inserisce nella peculiare cornice naturale, secondo modalità risalenti a prototipi italici dei santuari su terrazza; la stretta relazione, almeno sul piano visivo, con il sottostante anfiteatro apre a nuove considerazioni sull’impianto progettuale complessivo, nel momento in cui la costruzione dell’anfiteatro costringe ad una riconfigurazione di questa parte dell’area periurbana, tangente all’asse della via Pompeia e percorso obbligato nell’ambito di un itinerario diretto all’area portuale.

In questa fase, l’area acquista una rinnovata valenza simbolica volta a veicolare e affermare i nuovi caratteri della romanizzazione attraverso la dotazione di edifici pubblici di forte impatto monumentale e scenografico.

La preminenza dell’area in questa fase è determinante nel garantire il mantenimento di un ruolo centrale nei processi di trasformazione urbanistica dell’altomedioevo dove si sommano, in modo pregnante, i simboli dell’identità urbana della città legati alla martire Agata: non casualmente alle spalle del santuario si impianterà  tra VI e VII secolo un’area sepolcrale a ridosso di un probabile recinto funerario oggetto di culto e già nel Cinquecento l’immaginario collettivo accoglierà ‘l’invenzione’ di quei luoghi –il cosiddetto ‘Carcere’ e la ‘fornace’ – connessi al martirio  di S. Agata.

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M. Argenti, F. Sarno

Lina Bo Bardi, Edson Elito IL Teatro  Oficina a São Paulo: concezione, storia, vitali trasformazioni

Parole chiave: Teatro Oficina, Lina Bo Bardi, São Paulo, trasformazione

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Il contributo tratta la concezione, la storia e l’insolita conformazione del Teatro Oficina, progettato a São Paulo in Brasile da Lina Bo Bardi (1984-1989) insieme a Edson Elito e inaugurato nel 1994.

In questo Teatro, il luogo dello spettacolo è trasformato in un percorso-palcoscenico, in continuità spaziale con la città attorno, il quartiere italiano della capitale paulista, Bixiga. Il progetto, grazie a un sistema di ballatoi contrapposti, ristruttura l’edificio, risalente agli anni ’20, per farlo divenire uno dei luoghi più significativi della storia della città.

Del teatro classico ha poco; della tradizione dello spazio teatrale del Paese di origine della Bo Bardi è una citazione, un ricordo ravvisabile nelle gallerie a più piani, realizzate come un’impalcatura in struttura metallica.

Nella concezione scenografica la tradizione si dilegua per lasciare posto alla contemporaneità. Vengono valorizzati i rapporti tra spettatori, attori e scena, la quale, attraverso un’ampia vetrata, coinvolge anche la città. Lo spazio teatrale è concepito come un luogo di culto, dove si svolgono inusuali rappresentazioni, quasi dei riti nei quali a emergere è la natura brasiliana più profonda, secondo le teorizzazioni dell’antropofagia di De Andrade.

La Bardi già in altri due teatri, in quello del MASP e del SESC Pompéia, aveva dimostrato un’attenzione a rielaborare lo spazio delle rappresentazioni, per renderlo sempre più aperto ad accogliere quelle del teatro sperimentale. Alla fine degli anni ’60 tale sperimentazione abbracciava soprattutto Tropicália, movimento del quale la compagnia Uzyna Uzona ne rappresenta certamente un’espressione artistica.

Oficina, nella sua originalità, mira soprattutto a un’unione inscindibile, ma dinamica, tra architettura e spettacolo, tra spazialità e concezione teatrale, tra città e arte.

È un teatro che nasce come rivisitazione della classicità e si arricchisce nel tempo anche di significati politici e sociali: la resistenza alla dittatura prima, alla speculazione immobiliare paulista poi.

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N.D. Baldassarre, P. Cipri, S. Dentamaro, N. Faccitondo, A. Salvatore, M. Valente.

Molfetta: Hold the Line. Uno strumento flessibile per una città adattabile

Parole chiave: waterfront, Molfetta, Europan, riqualificazione, lungomare

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Affrontando il tema della città adattabile, questo progetto propone per Molfetta un sistema flessibile e modulare, che disegna un nuovo waterfront. La costa viene ridisegnata da un unico gesto, la linea, che attraversa l’intero sito e si declina in modi diversi, a seconda delle esigenze specifiche. Nel dettaglio consiste nel dotare il lungomare di Molfetta di un sistema di portali metallici. Una struttura leggera, realizzabile in modo semplice ed economico, senza ulteriore consumo di suolo, ma cercando di valorizzare l’esistente.

La ripetizione di questo trilite, dal disegno volutamente astratto e archetipale, forma un percorso ciclopedonale, dedicato e separato dal traffico delle vetture, lungo tutto il litorale. Lo stesso modulo può essere allestito in diversi modi, attraverso la ripetizione dello stesso o l’aggiunta di listelli in legno per riparare da sole o vento, ospitando piccoli caffè o strutture per la balneazione.

Si è deciso di dividere il sito in sei aree tematiche, tre sul lungomare di Ponente, tre a Levante. Ognuna ha risorse specifiche da sviluppare e problemi da risolvere, e di conseguenza il progetto prevede sei diverse declinazioni dell’azione. Questa divisione ideale insieme alla struttura di portali permettono la realizzazione in più fasi, o in interventi singoli, in momenti diversi.

L’obiettivo è quello di restituire il lungomare ai cittadini, facendo vivere ed abitare il litorale, sfruttando al meglio tutte le risorse esistenti, ma non valorizzate. L’idea è che artigiani e piccoli imprenditori possano avere la possibilità di aprire piccole attività commerciali, utilizzando il sistema dei chioschi previsto dal progetto, senza privatizzare né il suolo né l’accesso al mare. Lo spirito è quello di coinvolgere ed educare la popolazione in un processo di auto-organizzazione, auto-manutenzione, e condivisione del lungomare.

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G. Baratelli
Dalla trasformazione di un paesaggio alla costruzione di un modello. La Città Universitaria di Roma

Parole chiave: Roma, Città Universitaria, progetto, modello, identità

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Nel 1978 Colin Rowe sosteneva che la città reale fosse frutto della sinergia di più elementi in grado di costituire una archeologia dotata di propria memoria, una collisione secondo lo studioso, capace di innescare quelle suggestioni prospettiche che le avrebbero permesso di mettersi in scena come tale. La storia della città moderna come sedimentazione in quel periodo rimaneva ancora da fare e questo testo, all’epoca provocatorio, decretava di fatto i fallimenti delle utopie razionaliste colpevoli di aver sostituito la tecnica e la specializzazione alla complessità della città comportando una proliferazione di spazi anonimi senza qualità, di non luoghi.

A partire da una tesi di dottorato in corso di svolgimento che si pone criticamente di fronte alle problematiche del progetto urbano, oggetto specifico dell’intervento è uno dei complessi più significativi del Novecento, la Città Universitaria di Roma. Lo Studium Urbis, al di là della funzione istituzionale che rappresenta, marca infatti nel solco italiano, una presa di posizione di fronte al grande problema del ‘costruire il nuovo’, rappresentando un tentativo di creare centralità in un’area fuori le mura strappata all’agro e già irrimediabilmente compromessa da scelte urbanistiche interrotte e politiche contrastanti.

Il progetto è sondato, per la prima volta, con un procedimento dialettico, che superando gli specialismi orientati ai soli ambiti storico o ingegneristico, stabilisce concretamente un confronto tra il luogo su cui l’architettura si fonda (principio insediativo) e la lettura di un modello visionario. Nei diversi passaggi dalla scala territoriale a quella architettonica ci si propone di ripercorrere la messa a punto di un impianto riconoscibile fortemente condizionato dalla morfologia e dai limiti del lotto. Nella gestazione dell’idea si colloca il desiderio condiviso dai protagonisti di costruire un’architettura civile che seppur al passo con gli esempi esteri, a prescindere da scelte linguistiche, cerca di recuperare nella relazione tra le parti il significato degli elementi identitari della città storica quali la piazza, la corte, il basamento (memoria nobile del rapporto con il suolo).

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P. Baronio
La monumentalizzazione del tracciato urbano della via Egnatia tra IV e VI sec. d.C.: il caso di Durazzo

Parole chiave: Via Egnatia, tardoantico, monumentalizzazione, Costantinopoli, Dyrrachium.

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Costruita nel 146 a.C. per ordine del proconsole di Macedonia Cnaeus Egnatius e ancora restaurata durante il regno di Giustiniano I (527-565), la Via Egnatia ha rappresentato per secoli il principale asse viario di collegamento tra il basso Adriatico, l’Egeo settentrionale e il Mar di Marmara.

Il preminente ruolo politico assunto dalla città di Tessalonica al volgere del III secolo e la successiva rifondazione di Bisanzio come nuova Roma, ne accrebbero enormemente il valore strategico negli scambi con le regioni occidentali e orientali dell’Impero, trasformando il tracciato della Via Egnatia nella direttrice privilegiata per la diffusione del cristianesimo e delle innovative forme architettoniche di matrice egeo-costantinopolitana adottate nell’edilizia pubblica della capitale sul Bosforo.

Qui l’arco quadrifronte del Milion rappresentava il punto topografico iniziale dell’arteria, che attraversando la città con il nome di Mese, conduceva tramite la Porta Aurea a Philippi e Tessalonica, centri dove il percorso stradale ricalcava tra ali di portici l’antico tracciato romano, definito a partire dal IV secolo dal perimetro di alcuni tra i più importanti santuari cristiani della tarda antichità.

Negli oltre 1100 Km che separano Costantinopoli dal porto di Dyrrachium, la monumentalizzazione dei settori urbani della Via Egnatia assume quindi una profonda valenza politica e religiosa, che vede nella successione dei fora della capitale la massima espressione della propaganda imperiale, secondo tipologie architettoniche replicate in forme minori dall’imperatore Anastasio I (491-518) nella sua città natale Dyrrachium, con la costruzione di un foro circolare di chiara ispirazione costantinopolitana.

L’analisi delle due realtà urbane considerate in questo studio (Costantinopoli e Dirrachium) ha così permesso di delineare un’immagine diversa da quella comunemente attribuita alla Via Egnatia; una strada che non fu unicamente attraversata da merci ed eserciti ma forse, più di altre, divenne veicolo di nuovi pensieri e modelli architettonici.

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R. Belli

Perpetuare la memoria: architettura e arredo scultoreo nella città teatroide

Parole chiave: città antica, architettura, scultura, paesaggio urbano, monumento onorario

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La città di età ellenistica e romana si sviluppa attraverso i suoi spazi pubblici e le sue architetture in funzione della rappresentazione di se stessa, della comunità civica che la abita o del suo rapporto con il potere; complessi monumentali e architetture marcano il paesaggio urbano e definiscono spazi pubblici come quinte scenografiche, all’interno delle quali assume un ruolo importante l’arredo scultoreo, funzionale a rappresentare i valori della comunità, l’eventuale legame privilegiato con il potere centrale, ad onorare i suoi cittadini, in un complesso rapporto tra il personaggio onorato – spesso artefice delle stesse trasformazioni urbane – e la comunità che lo onora e che definisce spazi e modi attraverso cui manifestare il proprio omaggio.

La ricostituzione dell’arredo scultoreo e del suo rapporto con gli spazi pubblici e i complessi architettonici è spesso condizionata dal livello di conservazione e dalle vicende della vita post-classica dei centri urbani antichi; il contributo che si propone intende esaminare il fenomeno del rapporto tra scultura negli spazi pubblici urbani antichi attraverso alcuni casi studio, per cercare di definire forme e modi attraverso cui l’arredo scultoreo diviene elemento integrante dell’immagine della città.

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R. Belli Pasqua, L. Përzhita, L.M. Caliò, A.M. Jaia, O. Ceka, P. Pushimaj, F. Giannella, M. Cozzolino

Nuove ricerche sull’apparato monumentale di Byllis

Parole chiave: Byllis, Illiria, Epiro, città fortificazioni, architettura, agorà, stadio, teatro.

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A partire dagli inizi del IV secolo l’Illiria meridionale è interessata da un estensivo sviluppo di insediamenti urbani, che occupano le alture lungo le valli fluviali e fanno sistema tra di loro, diversificandosi tra centri con funzione prettamente difensiva e centri urbani, configurati secondo i modelli delle poleis greche. Il fenomeno trova origine in diversi fattori: crescita delle popolazioni locali, che attraverso il sistema urbano vogliono affermare la propria identità e rappresentarsi secondo i medesimi modelli delle culture confinanti, in primis quella greca; l’acquisizione di potere delle dinastie epirote-macedoni che favoriscono l’urbanizzazione e la fortificazione della regione, promuovendo lo sviluppo dei centri urbani anche con forme di evergetismo regale.

In questo quadro assume particolare rilevanza il sito antico di Byllis, messo in luce da una missione albanese negli anni 70-90 e successivamente da una missione franco-albanese per la fase bizantina, e ora oggetto di rinnovate di ricerche da parte di una missione italo-albanese, frutto di una convenzione tra il DICAR del Politecnico di Bari e l’Istituto di Archeologia di Tirana. Centro di riferimento del koinòn dei Bylliones, la città fu pianificata secondo una planimetria regolare; elementi caratterizzanti sono la poderosa cinta fortificata, che rappresenta la città qualificandone e sottolineandone l’aspetto monumentale, e lo spazio agorale, su più livelli, che mostra un complesso sistema rappresentativo attraverso il sistema teatro-stadio forse anche in funzione di assetti cerimoniali.

Il sito costituisce quindi un interessante caso di studio dell’urbanizzazione che tra l’età tardoclassica e romana caratterizza il paesaggio archeologico della valle del fiume Vjiosa e della costruzione dell’impianto urbano, realizzato attraverso una serie di interventi tesi a presentare l’immagine della città in rapporto al paesaggio.

Il contributo, presentato sotto forma di poster, intende mostrare i primi risultati delle ricerche riprese nell’area dall’equipe del DICAR e dell’Istituto di Archeologia di Tirana.

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A. Bellia

Musica, spazio e rito nelle città greche d’Occidente: il caso di Selinunte

Parole chiave: spazio e rito, spazio e performances musicali, musica, danza, Selinunte

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Scopo di questa proposta è analizzare una particolare tradizione musicale, ricostruendo il ruolo e la funzione delle performances musicali e corali a Selinunte, una delle più importanti città greche d’Occidente che si distinse per una intensa attività cultuale e sacra. Questo studio si ricollega ai recenti interessi dell’Archeologia musicale intesa come scienza storica, un campo di ricerca multidisciplinare che, coniugando i metodi dell’archeologia e della musicologia, mira a collocare le attività musicali e corali in uno spazio, in un luogo e in un’occasione ben determinati e ad interpretarne il significato culturale, religioso e sociale. L’Archeologia musicale ricorre – oltre che ad un metodo strettamente storicistico, che si propone di indagare gli eventi sonori del passato in relazione alla cultura e ai mutamenti politico sociali e di ampliare e integrare l’apporto delle fonti scritte – anche all’approccio antropologico-religioso che intende verificare l’intimo rapporto esistente fra i fenomeni musicali, i culti, le cerimonie festive e gli spazi nei quali avevano luogo.

Saranno analizzate le informazioni riguardanti l’organizzazione delle attività rituali e musicali a Selinunte, i percorsi processionali e i rituali associati ai singoli edifici pubblici e di culto. A questo proposito risultano di grande interesse le attività connesse al Tempio R e al cosiddetto Megaron nel settore meridionale del grande santuario urbano, probabilmente un grande spazio teatrale per le performances musicali e coreutiche legate al culto di una divinità femminile, verosimilmente Demetra.

Questo intervento è il risultato dell’indagine avviata grazie al progetto TELESTES. Musics, cults and rites of a Greek city in the West finanziato dalle Marie Curie Actions: International Outgoing Fellowships for Career Development nell’ambito delle Social Sciences and Humanities.

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J.  Benedetti, S. Cappelletti

Immagini urbane e lettura percettiva: la questione dei tessuti storici

Parole chiave: tessuti storici, percezione visiva, prospettive, XX secolo, ambiente

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Con questa comunicazione si vuole dare conto degli sviluppi di due autonomi progetti di ricerca,

condotti in seno al corso di dottorato “Architettura: Innovazione e Patrimonio” – in consorzio tra l’Università di Roma Tre e il Politecnico di Bari – con la guida dei professori Claudio D’Amato, Elisabetta Pallottino e Francesca Romana Stabile. Interesse comune alle due ricerche – che pur si muovono da esperienze e riferimenti culturali molto diversi – è lo studio dei tessuti edilizi storici ed in particolare di quelle relazioni di coesione e corrispondenza tra le parti che definiscono e danno sostanza agli ambienti della città.

Proprio lo studio dei caratteri visuali della composizione urbana – la definizione di scorci, prospettive o sequenze significative, il controllo della spazialità di piazze e percorsi – potrebbe diventare chiave di lettura valida tanto per i grandi complessi monumentali, quanto per i tessuti stratificati di architettura minore. Nell’intervento si propone di indagare la validità di questo approccio sulla base di esperienze di analisi, progetto e ricerca che fanno riferimento al secolo XX – dalle teorie ambientiste di Giovannoni, agli studi sulla percezione visiva di scuola Gestalt; dalle interpretazioni di struttura, orientamento e movimento nella città di cultura anglosassone all’esempio operativo dei piani di risanamento della prima metà del secolo in Italia. Questa lettura percettiva dell’immagine urbana si traduce, nella pratica, in rappresentazioni, bozzetti, diagrammi: un ricco repertorio di strumenti analitici utile ad interpretare

la città esistente e a controllare il progetto di nuovi interventi, affinché questi risultino in stretta rispondenza – naturale ed artistica – con l’ambiente della città.

Lo studio della composizione visiva di un tessuto edilizio, quindi, se integrato con considerazioni di carattere storico, tipologico, costruttivo, può contribuire ad una definizione integrale dell’immagine della città, e ad arricchire la cultura contemporanea del progetto in contesti e paesaggi storici.

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V. Bernardini

Modelli di scenografia urbana: il caso di Palestrina

Parole chiave: santuario, palazzo baronale, scenografia urbana, modello, percorsi urbani, Palestrina

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Il contributo in oggetto si propone di affrontare il tema della progettazione scenografica della città analizzando il caso del complesso del Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina e la sua successiva trasformazione in palazzo baronale come modello di riferimento per la storia dell’architettura urbana.

Palestrina alle pendici del Monte Ginestro, occupava una posizione strategica dominando la Valle del Sacco e il percorso tra entroterra e l’approdo di Anzio. Il complesso del Santuario articolato da terrazzamenti artificiali, esedre e scalinate, dominava il territorio e la città sottostante. Dopo il IV secolo, su alcune parti del tempio in rovina sono edificati abitazioni e baluardi difensivi: la città è ora un borgo fortificato.

Nell’XI secolo i Colonna collocano la loro residenza nel palazzo che edificano sulle strutture superiori del tempio. Nel XIII secolo il tempio della Fortuna in cima ai cento scalini è trasformato in chiesa dedicata alla Vergine, il palazzo baronale a semicerchio con due torri ai lati domina la città e la campagna sottostante, svolgendo la funzione di fortezza. Palestrina, capitale del dominio territoriale dei Colonna è più volte rasa al suolo. I palazzi ‘nobili e antichissimi’ distrutti da Bonifacio VIII nel 1298, erano dotati di una chiesa rotonda simile al Pantheon di Roma e noti per l’immensa scala marmorea che si poteva salire senza smontare da cavallo.

Nella fase rinascimentale, la scenografica architettura si collega all’impostazione urbanistica antica: l’assialità di tutto il complesso è confermata dal portale, dalla sistemazione della cavea e del pozzo, dall’inserzione della scala centrale a due rampe. L’intervento si distingue per la consapevolezza nella scelta della forma come sintesi tra antico e moderno. Tale complesso suscita un forte interesse: viene infatti rilevato e studiato da diversi architetti rinascimentali per essere riproposto come modello.

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F. Berti, N. Masturzo

Iasos fra età classica ed età ellenistica: l’agorà e l’area della Porta Est. Ricostruzioni e nuovi assetti monumentali

Parole chiave: Iasos, Antioco III e Laodice, opere murarie, stoà, ordini architettonici

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Al pari di altre città della Caria, Iasos ha alle spalle una storia millenaria. L’insediamento mette radici sopra una penisola di limitata estensione, il cui assetto geomorfologico impone precise scelte nella dislocazione dei comparti urbani e la destinazione di questi ultimi resta per lungo tempo stabile. Vi sono tuttavia, oltre che eventi storici, anche eventi naturali, come i terremoti, che inducono delle rilevanti modifiche all’organizzazione della città. Gli spazi pubblici vengono così ampiamente ristrutturati e se ne integrano le funzioni con nuove costruzioni ad hoc.

Emblematici, in tal senso, a Iasos appaiono entrambi i settori che gravitano sui porti, nei quali sono stati condotti estesi scavi nel corso degli anni. Il settore del porto orientale è significativamente rivolto ai culti che si aggregano attorno a  Zeus Megistos e attira anche la componente caria della regione. Nell’area dell’istmo e del porto occidentale la già vasta agorà trova una rinnovata articolazione del suo peribolo e del cosiddetto “settore di Artemis Astias”, incentrato anch’esso sopra un edificio templare.

Un esame dei vari dati architettonici, archeologici ed epigrafici emersi nel corso degli scavi (condotti anche in anni lontani) in tali settori consente di cogliere l’apporto, innovativo sul piano funzionale e religioso, d’interventi realizzati nel corso del IV-III secolo a. C., promossi sia da dinasti, sia da evergeti.

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A. Bialkiewicz

Religious architecture and its role in urban space

Keywords: architecture, sacred, churches, significance, context

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Religious architecture is a special sign in culture. Its forms and locations have changed over centuries. Each epoch marked its character by presenting a silhouette of a church in landscape. The objects  always had certain features that made them stand out against their surroundings. The sacred object was often designed concurrently with a town or a housing estate. Churches were often introduced into the existing context. It also happened that the development of a town was associated with the place of worship which determined its character.

Religious architecture and spaces in urban planning and, first of all, in cityscapes have been distinguishing features of these places since time immemorial. They have a visible and strong effect on the city or its fragments. However, their perception has two aspects: religious and cultural-touristic. One such place is the Jasna Góra sanctuary in the city of Czestochowa. Its origins date back to 1382. Currently the city of Częstochowa has 230 thousand inhabitants and is visited annually by 3,5 million pilgrims and tourists from over 80 countries.

The sanctuary influences not only the immediate surroundings of the monastery but the entire city as well. The historical urban system is modified to meet the needs of the sanctuary and the pilgrims but mainly to adjust to the ever growing tourist traffic.

In this case, it seems inevitable to look for ways of integrating the religious architectural and urban heritage dedicated to religious ceremonies and rituals with contemporary needs, the lay aspects of everyday life, so as to take into account the interaction between the sacred, the architecture and contemporary approach to conservation.

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F. Bianchi, N. Masturzo

Trasformazioni urbane di età classica ed ellenistica: i casi di Iasos e Bargylia in Caria

Parole chiave: Iasos, Bargilya, Caria, architettura ellenistica, Ecatomnidi, impianto urbano

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Il caso di due città vicine, Iasos e Bargylia, che si svilupparono fra l’età classica e quella ellenistica sui lati opposti di un profondo golfo, esemplifica bene gli argomenti del convegno. Esse mostrano un’evoluzione urbana fra loro sostanzialmente differente. Iasos sembra non mutare radicalmente l’assetto urbano assunto in epoca arcaica, centrato sull’agorà nella zona settentrionale e sul santuario di Zeus nel lato orientale della penisola, un assetto che non viene più ridisegnato per la ricerca di una generale simmetria delle forme, mentre la configurazione naturale della penisola ha favorito la creazione di serie di terrazzamenti grosso modo concentrici.  Su uno dei  più alti di questi verrà costruito in epoca ellenistica il teatro, il quale, anche per la posizione paesaggisticamente rilevante, assume un valore paradigmatico delle ambizioni cittadine. In precedenza Iasos vede l’influenza ecatomnide incentrata su alcune realizzazioni monumentali di grande impatto urbano, come le mura e un complesso commemorativo dedicato a Mausolo nella zona dell’agorà, ma questi interventi causano solo un parziale ridisegno della città. Egualmente ciò avviene negli interventi d’età imperiale,  tesi a ad una maggiore monumentalizzazione di spazi e complessi urbani  preesistenti anche grazie a un’estesa marmorizzazione degli elevati.

Bargylia, al contrario, è caratterizzata da un impianto urbano a maglia regolare che si rintraccia ancora nella serie di strutture affioranti sul terreno, rilevate nel corso del 1997. È dubbio se fu o meno pianificata sullo stesso luogo di una città più antica e di minori dimensioni, ma l’ipotetica griglia stradale mostra un andamento indifferente a quello  dei pendii, il che sembra collegarla agli impianti di tarda età classica promossi dagli Ecatomnidi. Un asse stradale monumentale collegava le due aree di maggiore rilevanza: l’agorà e l’acropoli. Su questa base sono stati realizzati nel corso del tempo i successivi interventi di epoca imperiale, che si sono potuti definire grazie allo studio degli elementi architettonici sparsi sul terreno.

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F. Bilotta

Spazio urbano e vita sociale: l’influenza dei caratteri tipologici nei centri storici minori della costa Tirrenica calabrese

Parole chiave: Calabria, identità, spazio urbano, caratteri tipologici, vita sociale

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Il presente contributo si concentra sulla definizione dello spazio urbano come espressione linguistica, cioè come luogo fisico in cui si manifestano le relazioni tra architettura e società. Conformazione urbana, strade, percorsi, slarghi svelano un patrimonio immateriale, fatto di diversità culturali, di specificità e di identità delle comunità locali. In particolare, la ricerca focalizza l’attenzione sui centri storici minori del Mediterraneo, ambito in cui il patrimonio genetico locale è legato alla realtà regionale, influenzato dalle risorse disponibili e dai fattori climatici. I centri analizzati, appartenenti alla fascia costiera della Calabria settentrionale, sono caratterizzati da strade relativamente piccole nella loro larghezza e spesso contrassegnate dall’andamento irregolare, da repentini cambiamenti di direzione, frequenti angolazioni delle strade e, di conseguenza, del costruito. Elementi che configurano una cultura insediativa collettiva, fatta di usi, costumi e stili di vita.

Piccole unità abitative in linea e a schiera che si aggregano con continuità, case a profferlo con piani suddivisi per destinazione d’uso, mettono in relazione, mutuando la concezione orientale di urbanizzazione dello spazio, abitazione e strada, esteriorizzando la struttura interna, familiare, architettonica ed economica. Strade coperte da supportici, archi e scale esterne che compensano salti di quota naturali, percorsi a baionetta e improvvisi slarghi, esprimono lo stretto legame con la strada, che assume una dimensione privata e al contempo di socializzazione. Il sistema urbano delle società mediterranee diventa, quindi, non solo percorso ma un insieme comunitario, luogo di scambio, lavoro ed incontro.

Conoscere tali regole di vita associata e di ambiente antropizzato permette di preservare l’identità storica e culturale di una comunità, riconoscendo il fondamentale legame che intercorre tra caratteri architettonici – urbani e realtà sociale.

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E. Blanes Pérez

Un luogo per la rappresentazione. La sala dei Ricevimenti e Congressi di Libera.

Parole chiave: copertura, centralità, foyer, monumentalità, ricevimenti

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En el año 1925, un joven arquitecto del norte de Italia, despojado de cualquier tipo de prejuicio, realizó un pequeño dibujo estudiantil, sin grandes aspiraciones que, asemejándose a las pinturas del Settecento del Panini, lo tituló el Panteón en hormigón armado.

De este dibujo se obtiene una doble clave de estudio. Por un lado, la apuesta por un determinado tipo arquitectónico, perteneciente a la Historia de la Arquitectura, como es el Panteón, afirmando la condición atemporal del espacio arquitectónico y descubriendo el valor de la materia como circunstancia definitoria del valor de tiempo en la obra de arquitectura. Por otro lado, esta otra observación no tiene que ver con el título del dibujo, sino con una pequeña anotación en el margen derecho del dibujo que contiene las siguientes palabras, “…un grande vestibolo o un salone suggestivo…”, donde un joven Libera dibuja al gran templo de la Antigüedad como un gran vestíbulo para personas, como un gran portal de entrada a una casa.

Esta circunstancia es en la que se enmarca esta comunicación. Un edificio, completamente pasante, casi simétrico en su sección longitudinal, que encuentra su razón de ser en el gran espacio de las sala dei Ricevimenti. Un espacio, entendido como gran plaza cubierta y de representación, objeto de estudio presente a lo largo de toda la trayectoria profesional del arquitecto1. Por tanto, el edificio mismo es entendido como forma urbana, donde la gran sala es un palio que acompaña como antesala a la gran sala de congresos, finalidad propia del edificio.

En conclusión, con esta comunicación se quiere profundizar en la condición urbana, casi escenográfica del edificio de Libera, haciendo un recorrido por aquellos espacios que a lo largo de su trayectoria han tenido una condición común que tiene que ver con la idea de plaza cubierta, absorbiendo los valores del espacio urbano e incorporándolos al edificio arquitectónico.

 

1 A propósito de esto se refiere Vieri Quilici, en su texto incluido en “Lezione e dibattiti del corso di dottorato di ricerca per L’A.A. 1983-1984, L’insegnamento di Adalberto Libera”, “Libera considerava Bernini l’architetto sommo, il suo più alto modello di riferimento era Bernini e la Piazza San Pietro. Questo è un dato estremamente interessante e rivelatore perché quella del Bernini è in effetti un’architettura totalmente risolta nello spazio urbano. L’architettura non è nemmeno un involucro, si identifica con l’idea di Piazza”.

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S. Bozza

Spazio urbano e spazio sacro a Hermoupolis Magna: città cerimoniale e architettura della memoria nell’Egitto ellenistico-romano

Parole chiave: Hermoupolis Magna, Egitto ellenistico-romano, urbanistica, architettura, processione, via colonnata, memoria culturale

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La città antica è per eccellenza il luogo del vivere sociale, politico e religioso, palcoscenico dei valori fondanti della società, messi in scena attraverso le immagini e i rituali. Lo spazio urbano e l’architettura costituiscono uno strumento privilegiato per indagare le modalità dell’agire sociale e rituale: un singolare caso studio in senso diacronico è rappresentato da Hermoupolis Magna nel Medio Egitto, città caratterizzata da una straordinaria stratificazione culturale, che si riflette nel complesso assetto urbanistico. Fondata già nell’Antico Regno, Hermoupolis prese questo nome solo in età tolemaica, quando il dio poliade Thot fu assimilato a Hermes. La città fu estremamente fiorente per tutta l’età ellenistica e romana, con consistenti interventi edilizi, sotto i primi Tolomei fino all’età antonina, che costituisce il periodo di maggior splendore urbanistico. Le trasformazioni nel tempo dell’assetto urbano e la creazione di nuovi complessi monumentali permettono di ricostruire un quadro estremamente dinamico di una città legata ad un passato di tradizioni ancora vitali e ai nuovi stimoli determinati dal nuovo ordine del potere dominante, soprattutto quello dettato dall’avvento dell’impero romano. La prassi rituale egiziana, forte di una storia millenaria, non fu assolutamente cancellata, ma integrata e potenziata in un nuovo sistema sincretico: così il dromos tipico dei centri egiziani, usato per le processioni religiose, si trasformò in via colonnata, denominatore comune della città romana del Mediterraneo orientale; ma al contempo esso fu dotato di un Komasterion, edificio sacrale destinato ai comasti, coloro che prendevano parte ai cortei cerimoniali, sconosciuto in tutte le altre province. Ripetuti interventi edilizi concorsero a fare di Hermoupolis, in età greco-romana, uno spazio pluristratificato, in cui edifici pubblici e sacri si sovrapposero e si integrarono reciprocamente come luoghi destinati ad una condivisa ritualità ed alla continua riattualizzazione della memoria culturale della città.

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S. Briatore

Paesaggi sonori della festa barocca

Parole chiave: suono, festa barocca, paesaggio sonoro, scenotecnica barocca, piazza

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Sfarzi, feste, apparati effimeri, giochi pirotecnici e altre meraviglie rappresentano la cornice della Roma barocca del Seicento. Rimangono ad oggi numerose tracce della sua magnificenza attraverso gli apparati iconografici e le descrizioni letterarie. Grazie alla concessione di alcune immagini del fondo archivistico Avvenimenti del Museo di Roma, sono a proporre un intervento che ha come oggetto l’analisi della festa barocca romana cercando di rintracciarne il mondo sonoro che la avvolgeva. Letterati, artisti e incisori riportano numerosi indizi per poterne comprendere l’evento sonoro che accompagnava quello festivo, diventando parte integrante della Roma barocca. Nelle descrizioni festive, nelle lettere dei viaggiatori e nelle incisioni delle vedute delle feste possiamo notare numerosi riferimenti al sonoro che gli eruditi secenteschi hanno voluto evidenziare.

Rumori, spari, tamburi, fiati costituiscono la cornice della vita pubblica barocca, come risulta, ad esempio, nell’incisione della festa organizzata a Piazza di Spagna nel 1687 in occasione della guarigione di Luigi XIV. In essa sono presenti numerose tracce sonore visibili, fuochi d’artificio creavano un evento clamoroso capace di colpire con violenza e stupore gli spettatori, con un tuono che accompagnava lo squarcio nel cielo. Così come nelle cavalcate per il possesso, in cui la componente sonora era chiaramente rappresentata, o meglio ancora nel carnevale, come raffigurato nell’incisione del palco allestito per Cristina di Svezia nel 1656, in cui lo spettatore era disorientato dalle centinaia di voci, contrastanti e urlanti, e dalle ruote dei carri che si univano ai gruppi che suonavano i tamburi, ai musicisti, ai cani ululanti e alle compagnie di girovaghi che attiravano il pubblico in mezzo a tutto quel paesaggio sonoro eccitante e confuso.

L’intervento si propone di tracciare una metodologia di analisi degli eventi sonori della Roma del Seicento, grazie alle fonti letterarie e alle rappresentazioni iconografiche. Si prevede di presentare alcuni risultati della ricerca in atto, mostrando alcune immagini accompagnate dalla loro ricostruzione sonora attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie come Ableton Live.

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E. Brienza

La via tra valle del Colosseo e Foro in età imperiale: ricostruzione storica ed architettonica

Parole chiave: Roma, valle del Colosseo, Meta Sudans, Palatino, architettura romana, ricostruzione virtuale

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Gli scavi archeologici decennali messi in atto dalla Sapienza Università di Roma, presso la Meta Sudans e presso le pendici nord-orientali del Palatino hanno messo in luce stratigrafie certe tramite le quali è oggi possibile effettuare una ricostruzione storica ed architettonica dell’area.

Le strutture di età imperiale rinvenute in situ in questi anni di ricerca, assieme ad elementi della decorazione architettonica e pittorica, permettono di riproporre non solo l’assetto generale della via che metteva in comunicazione la valle del Colosseo con l’area forense, percorso peraltro interessato dalla pompa trionfale, ma anche le sue vicissitudini cronologiche in maniera puntuale, con le differenti fasi costruttive e l’aspetto generale che tali architetture hanno assunto in questo lasso di tempo.

Come è noto la via rientra in una pianificazione generale dell’area voluta da Nerone, all’indomani dell’incendio del 64 d.C.: il portico ad archi, che dotava la strada di una magnificente e funzionale quinta scenografica, assieme ai blocchi edilizi siti alle sue spalle verranno portati a termine, con alcune modifiche strutturali, dagli imperatori della successiva dinastia Flavia, contestualmente alla riorganizzazione della piazza ove verrà edificato l’anfiteatro. Ulteriori interventi edilizi sono registrati in età adrianea, quando sul luogo venne costruito il tempio di Venere e Roma.

Questo tipo di viabilità cittadina diverrà un modello adottato nelle pianificazioni urbane così come è possibile riscontrare, ad esempio, ad Ostia.

Il rilievo accurato dei resti strutturali, assieme all’analisi delle stratigrafie e degli elementi della decorazione architettonica sopravvissuti, permettono oggi di effettuare delle ricostruzioni virtuali di questi edifici, contestualizzate su scala urbana, grazie anche all’uso di tecnologie avanzate di visualizzazione e comunicazione.

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I. Cabrera

Valencia y la fiesta liberal. Espacio público, celebraciones políticas,  y cambio social en la capital valenciana durante el reinado de Isabel II (1833-1868).

Palabras clave: Valencia, liberalismo, celebraciones, Isabel II, urbanismo

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La revolución burguesa y liberal, iniciada en España en 1808 e interrumpida por el reinado de Fernando VII, se retoma en 1833 con la muerte de este último monarca absolutista. El proceso social y político que supuso el desmantelamiento de los pilares en los que se asentaba el Antiguo Régimen avanzará hasta culminar en un proyecto moderado  que marcará la trayectoria histórica del siglo XIX. Valencia, así como otras ciudades españolas, vivirá de primera mano la revolución (1833-1843) y la consolidación del moderantismo posterior. Aniversarios constitucionales, funerales patrióticos, juras y victorias militares serán algunas de las celebraciones que la nueva política liberal utilizará para afianzarse en el poder y hacer frente a la amenaza de la vuelta del absolutismo.  Sin embargo, además de ser escenario de la revolución y de proclamas políticas,  la ciudad sentirá en sus calles y plazas los ecos del cambio ideológico y cultural mediante la aplicación de importantes reformas. La modesta industrialización que vive Valencia, la introducción del ferrocarril, junto a otras transformaciones propias de la nueva política liberal le reclamarán  mudar su apariencia de ciudad medieval por una más moderna, segura e higiénica. En definitiva, es durante  el reinado de Isabel II (1833-1868) cuando se condensan una serie de factores ideológicos y sociales que van a acabar plasmándose de una forma u otra en los espacios públicos de esta ciudad.  Es, pues, propósito de este trabajo la reflexión en torno a esta relación entre propaganda política y espacio urbano, prestando especial atención a manifestaciones artísticas de tipo efímero,  sin olvidar la revaloración de ciertos enclaves estratégicos y la repercusión de esta coyuntura en la concepción de la futura Valencia contemporánea.

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L.M. Caliò

Definire un tema: la città theatroides

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La città arcaica offre un’immagine di sé non ancora articolata secondo parametri moderni. La polis è l’insieme dei cittadini, governati da regole di reciprocità e disposti intorno a un centro comune, l’Hestia, il fuoco della città. Questo modello, frutto di una tradizione di studi, non può essere del tutto accantonato alla luce dei nuovi indirizzi di ricerca. L’arte greca non ci ha tramandato immagini di città e quelle letterarie che ci sono arrivate attingono ad un linguaggio simbolico senza tenere conto della realtà costruttiva delle singole città. Fino alla fine dell’età classica non sembra esserci quella epiphaneia della città che invece caratterizza il mondo greco durante ellenismo.

La Grecia delle poleis non è stata necessariamente la Grecia delle città e la città (asty) come modo di vita normale e condiviso è un fenomeno relativamente tardivo nel mondo greco. Durante il V secolo la costruzione dell’Atene periclea si pone come momento di rottura tra il modo di vita della polis e quello più strutturato della città, ma incontra una serie di resistenze la cui eco troviamo nelle fonti antiche. Si può cogliere una più importante crescita urbana solo nel secolo successivo, quando le città, oramai non più autarchiche, ma inserite in sistemi regionali più ampi, diversificano maggiormente le proprie risorse economiche e si specializzano per produzioni e per merci. La Caria, la Macedonia, Tebe sono i motori di questa nuova temperie urbana che si esplica attraverso la costruzione di nuovi centri urbani, testimonianza di una volontà politica e di una crescita economica.

Questo sviluppo è colto e analizzato dai Greci, che riguardo alle prime città strutturate e architettoniche coniano il termine theatroeides che possiamo tradurre con “degne di essere viste” o “visibili” e che è applicato la prima volta alle città della costa dell’Asia Minore costruite in forma monumentale dai dinasti carî.

L’immagine della città deve essere vista in una prospettiva storica. Gli echi delle prime città sono piuttosto letterari che monumentali e raccontano di poleis senza spazi e con poche architetture. Nel mondo greco dalla polis scaturisce la città, ma il processo di formazione è lungo e non senza contraddizioni, e ancor più lunga la definizione di un’immagine della città.

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D. Calisi, M.G. Cianci, F. Geremia

Restituzione virtuale del quartiere Alessandrino a Roma

Parole chiave: storia urbana, Roma, quartiere Alessandrino, tessuto edilizio storico, restituzione virtuale, modellazione 3D.

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Le mutate condizioni politiche, sociali e culturali, unitamente alle concrete rinnovate esigenze che seguirono l’istituzione di Roma a capitale d’Italia hanno condotto nel giro di pochi decenni alla trasformazione della sua consistenza urbana sino ad allora sviluppatasi gradualmente e lentamente attraverso i secoli.

Il quartiere Alessandrino che, a partire dal medioevo, era sorto sulle rovine dei Fori Imperiali ed aveva assunto nel corso del tempo, anche in virtù della sua posizione geomorfologicamente centrale, il ruolo di sistema connettivo fra i rioni circostanti, fu sacrificato per la realizzazione della monumentale via dell’Impero. Pur essendo fuori questione l’importanza complessiva dell’operazione che ha riportato alla luce i resti archeologici, si pone tuttavia l’attenzione sul tessuto urbano demolito in quella occasione.

L’obiettivo della ricerca che si intende presentare è di documentare un momento della storia urbana di Roma e ricomporre virtualmente una particolare immagine della città. Il lavoro è stato portato avanti mettendo a punto un metodo condiviso che ha consentito l’integrazione multidisciplinare, tale da mantenere scientificamente coerente et attendibile l’esito finale. L’iniziale ricerca e acquisizione delle fonti, ha costituito la base dello studio. Le fonti sono state poi organizzate in un database che verrà inserito in un web GIS condiviso on line. La seconda fase, analitica, ha portato al riconoscimento della consistenza architettonica ed urbana del tessuto edilizio oggetto di studio. La terza fase, di ricomposizione progettuale e visualizzazione virtuale attraverso la modellazione 3D delle preesistenze, rappresenta la sintesi del lavoro svolto. I risultati ottenuti attraverso questa metodologia di indagine consentono di visualizzare il tessuto urbano scomparso e testimoniarne il significato storico architettonico.

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C.R. Calitro, M.A. Catella, P. Colonna, M. Pepe, A. Santarcangelo

Il borgo medievale di Craco: la forza rinnovatrice dei ruderi per ricomporre l’immagine urbana

Parole chiave: Craco, centri storici minori; dissesto idrogeologico; patrimonio; restauro; conservazione.

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Il fenomeno dei centri storici minori abbandonati in seguito ad eventi calamitosi o a trasferimenti volontari è un valido motivo di riflessione riguardo le scelte e le ragioni del restauro degli organismi urbani. Il caso del borgo medievale di Craco (MT) rientra in questa tematica ampiamente dibattuta: lo spopolamento del centro, oggi in avanzato stato di degrado, è avvenuta a partire dal 1963, a seguito di un grave dissesto idrogeologico, attualmente in atto sotto forma di lenti ma progressivi movimenti franosi. L’aspetto decadente, la localizzazione in uno scenario naturale e paesaggistico incontaminato e la dimensione atemporale in cui oggi versa l’intero borgo costituiscono le qualità di fascino e i fattori seduttivi per un turismo colto e per il mondo dell’arte e del cinema d’autore. Nonostante abbia perso la sua vocazione residenziale, il centro storico può assumere una nuova identità trasformando le criticità in opportunità, mediante un progetto di conservazione e valorizzazione unitario che sia in grado di permettere la fruizione e il recupero del patrimonio, in accordo con le finalità comunali orientate da un lato a promuovere la vocazione artistica e museale della ‘presenza formale’ del borgo e dall’altra a favorire lo svolgimento di attività di studio e monitoraggio delle aree franose. Il duplice obiettivo presuppone di dover affrontare due visioni progettuali antitetiche: quella fermamente più cauta, finalizzata alla sola conservazione e valorizzazione culturale del patrimonio, che assume quindi una funzione pedagogica, e quella più possibilista che, tenendo in ogni caso presente la critica condizione geologica, è orientata verso il recupero di alcuni edifici e prevede la coesistenza tra ospitalità temporanea diffusa e attività culturali e di ricerca scientifica. Queste riflessioni hanno rappresentato le linee guida per la proposta del progetto di restauro del borgo, basato sui principi del minimo intervento e della riconoscibilità dello stesso.

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V. Caminneci, M.S. Rizzo

La città di Gregorio. Agrigento in età bizantina alla luce dei dati archeologici e delle fonti letterarie

Parole chiave: Agrigento, S. Gregorio Vescovo, ricostruzione del paesaggio urbano, città, emporio

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Il bios del vescovo agrigentino Gregorio, scritto intorno all’VIII secolo dal monaco Leonzio, malgrado la cronologia esatta degli eventi narrati rimanga ancora controversa, costituisce una fonte importante per la conoscenza di Agrigento e del suo porto in età bizantina. La lettura congiunta della fonte e dei nuovi dati archeologici consente di delineare interessanti piste di ricerca. Il testo documenta i processi di trasformazione del centro urbano, a cui fanno in qualche modo riferimento alcuni villaggi, komai, siti nel territorio circostante, probabilmente esito della frammentazione dell’antica città, che pure conserva il suo foro, dove si incontra una comunità cittadina vivace, animata dal dibattito religioso, retta da arconti e tribuni. Le mura e la porta costituiscono ancora solidi elementi liminari tra dentro e fuori, assunti a riferimento spaziale, insieme al fiume, che collega il porto alla città in un percorso, anche processionale, compiuto dal Vescovo in preghiera con il suo popolo.

Il carattere odeporico del testo agiografico, che consente di seguire i viaggi del santo tra Oriente e Occidente, restituisce un quadro significativo della navigazione, anche di cabotaggio, che in età bizantina coinvolge Agrigento. Stando al racconto del bios, la scelta del Vescovo Gregorio del luogo per la nuova cattedrale appare strettamente connessa alla costa.

La chiara ingerenza dell’autorità episcopale nella pianificazione urbana è rimarcata da gesti simbolici e magico-sacrali: il Vescovo volta le spalle e, distogliendo lo sguardo dalla vecchia basilica, indica nell’antico tempio pagano – verosimilmente il tempio della Concordia – liberato dai demoni, la nuova Chiesa degli agrigentini. L’ekklesia di Gregorio, posta in un’area ormai probabilmente eccentrica rispetto alla città, testimonia la volontà di creare un punto di attrazione rispetto al circondario e rispetto all’Emporion e a quei contatti con il Mediterraneo da questo garantiti.

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L. Campagna

La città ellenistica in Sicilia: spazi, monumenti, rituali

Parole chiave: Sicilia, architettura ellenistica, paesaggio urbano, monumenti onorari, evergetismo

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La città ellenistica in Sicilia è un’acquisizione recente. Solo negli ultimi decenni, infatti, le ricerche hanno fornito una mole straordinaria di nuovi dati, tale da scardinare paradigmi interpretativi consolidati che, sulla base di attribuzioni cronologiche incerte o errate, consideravano le trasformazioni urbanistiche e monumentali nei centri dell’isola a partire dal III sec. a.C. poco più che una propaggine della polis siceliota arcaico-classica. Nonostante il sostanziale processo di revisione avviato da più parti negli ultimi anni, manca ancora una lettura unitaria dei dati recenti che definisca i caratteri urbanistici e architettonici peculiari, le coordinate cronologiche e spaziali, nonché il contesto politico e socio-economico, mettendo così in evidenza la reale portata dei fenomeni che trasformano lo Stadtbild di diverse città siciliane tra III e I sec. a.C. Il contributo intende fornire una proposta in questa direzione, con un’attenzione particolare agli spazi pubblici della città: a partire dalle evidenze dei centri meglio noti (in particolare: Segesta, Solunto, Alesa, Tindari, Taormina) si vuole condurre un esame integrato e contestuale di tutti gli elementi che contribuiscono a definire il nuovo paesaggio urbano, dalle modalità di selezione e monumentalizzazione dei tipi architettonici a quelle di gerarchizzazione e organizzazione degli spazi, nei quali, insieme alle architetture, un ruolo qualificante sempre più incisivo assumono i monumenti onorari con le relative iscrizioni e le epigrafi monumentali. Tali elementi concorrono a delimitare con quinte monumentali piazze e assi viari principali, destinati a diventare il set di una teatralizzazione della vita civica sia nelle sue manifestazioni collettive, sia nelle esigenze di autorappresentazione dei notabili locali. Le città siciliane del II-I sec. a.C. mostrano un volto per molti versi affine ai centri ellenistici del Mediterraneo orientale, rispetto ai quali il contributo si propone di delineare i punti di tangenza e i tratti distintivi che connotano tali fenomeni nell’isola.

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M. Canciani, M. Michelini, M. Zampilli

Il modello virtuale di Porta Latina a Roma e la sua restituzione ideale al tempo di Onorio

Parole chiave: Mura Aureliane, Porta Latina, rilievo 3d, modello virtuale.

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Porta Latina, una delle porte di secondo tipo del circuito murario costruito dagli imperatore Aureliano a partire dal 271 d.C., è rimasta tra le più conservate seppur abbia subito numerosi cambiamenti di stato nel corso del tempo. Nonostante i molti studi che la riguardano, si è ancora in attesa di una ricostruzione attendibile e definitiva delle sue principali fasi storiche.

Lo studio che si propone è sviluppato a partire da una tesi di laurea in architettura-restauro ed è parte di una ricerca dipartimentale più ampia dal titolo: “Le Mura Aureliane: conoscenza, ricognizione, progetto”, che si sta svolgendo in collaborazione con la Sovraintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con l’obiettivo di creare un Museo virtuale delle Mura Aureliane al fine di individuare i percorsi più adeguati per la loro conoscenza e valorizzazione. 

La ricerca su Porta Latina si è avvalsa di un approfondito rilievo geometrico e critico sviluppato con diversi metodi: laser scanner, fotogrammetria e manuale diretto. Una rappresentazione molto accurata dei paramenti e delle strutture murarie in pianta ed alzato con numerose viste e spaccati assonometrici, ed anche grazie ad un’analisi dettagliata dei valori cromatici delle superfici, hanno consentito di leggere soluzioni di continuità e alterazioni materiche riferibili a fasi costruttive differenti altrimenti difficilmente rilevabili ad occhio nudo.

Il confronto del rilievo con la ricca documentazione iconografica e gli studi precedenti ha permesso di avanzare nuove ipotesi sulla storia costruttiva della porta e proporne l’assetto architettonico raggiunto al tempo di Onorio I (402-403 d.C.), quando furono costruite le due torri semicilindriche e la controporta.

Il risultato finale è un modello virtuale 3D del monumento nella sua fase attuale, messo a confronto con la restituzione ideale della fase più organica, quella appunto risalente al V secolo d.C.

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B. Canonaco

La cartografia antica per la lettura della città storica. Alcuni casi emblematici tra documenti d’archivio, vedute e rappresentazioni

Parole chiave: Calabria, conoscenza, fonti documentali, centri storici, conservazione, valorizzazione

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Il contributo proposto individua protocolli per la conoscenza e la riqualificazione della città storica; ricerca rinnovate azioni conoscitive per gli interventi di conservazione e di valorizzazione degli ambiti storici. Lo studio assume valenza di metodo, individuando nella lettura esegetica delle fonti documentali e della cartografia antica una delle prime operazioni analitiche da compiere per la conoscenza del costruito storico. Questa conoscenza supporta l’azione di conservazione e di riqualificazione.

Il saggio si basa sulla lettura delle iconografie antiche unitamente al riscontro critico dei documenti notarili. La procedura si specifica in operazioni di sovrapposizioni tra i segni grafici delle vedute e le notizie ricavate dai rogiti e permette di giungere a una conoscenza documentata e di tracciare l’evoluzione diacronica di parti di città o di singoli edifici, facilitando la comprensione dei processi di formazione dell’edificato consolidato ed evidenziandone i caratteri formali, funzionali, costruttivi. 

L’applicazione di tale principio è verificata attraverso l’approfondimento della dimensione architettonica e urbana di alcuni centri storici della Calabria in un periodo compreso tra il XV e il XVIII secolo. Il lavoro presentato indaga i caratteri emergenti di parti di città, specifica l’evoluzione diacronica, esamina i processi di formazione.

Dalle fonti notarili si è evinta la distribuzione funzionale, i caratteri tipologici, architettonici e costruttivi dell’edificato storico e degli edifici rappresentativi. Le diverse vedute della città sono state assunte a modello di riferimento per verificare le permanenze e le mutazioni. Questa comparazione tra carte e documenti ha portato a una conoscenza approfondita sull’evoluzione dei centri storici campione e i dati acquisiti hanno assunto una valenza conoscitiva indispensabile per le scelte progettuali da effettuare negli interventi di conservazione e valorizzazione dei beni.

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B. Canonaco, F. Bilotta, F. Castiglione, F. Molezzi

L’architettura vissuta: rapporto tra sostrato sociale e composizione urbana nella città di Cosenza

Parole chiave: tessuto urbano, caratteri edilizi, vita economica, tessuto sociale, toponomastica

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Il saggio vuole evidenziare le strette correlazioni che intercorrono fra la struttura urbana e la società, fra gli

spazi pubblici e le attività economiche, fra quartieri e mestieri, focalizzando l’attenzione sul centro storico della città di Cosenza e sul suo tessuto urbano e sociale. Se da un lato, infatti, le architetture private sono sempre state interpretate come strutture di rappresentatività, con l’intento di rimarcare l’appartenenza alle differenti classi sociali, dall’altro l’edilizia di base e i vuoti urbani hanno assunto, inconsapevolmente, i caratteri e le peculiarità dettate dai costumi e dagli usi quotidiani.

Proprio in tale ottica, il presente contributo analizza la dicotomia società-architettura rivolgendo analisi conoscitive al centro storico campione ed evidenziando le relazioni fra economia- ceto sociale- tipologie edilizie-struttura urbana e relativa odonomastica. Attraverso le tradizioni orali e popolari e il controllo delle fonti documentali come atti notarili e catasti storici, si rilevano le peculiarità dei diversi quartieri della città, delle piazze, delle strade e degli slarghi, evidenziando come l’uso quotidiano e l’appropriazione degli spazi da parte della popolazione abbia caratterizzato, nei secoli, l’architettura e la conformazione urbana sino ad influenzarne la toponomastica. I quartieri a ridosso dei fiumi che lambiscono il centro storico campione, ad esempio, mostrano una tipologia e una composizione tale da opporsi alla forza del fiume con i piani terra arcuati per far defluire l’acqua, e accolgono una popolazione che socialmente ed economicamente è avvezza a sfruttare l’acqua e a trarre da questa lavori e mestieri.

In conclusione, il saggio propone la lettura storico-critica della città attraverso i suoi caratteri morfotipologici,

architettonici, funzionali strettamente relazionati alla vita associata sociale ed economica al fine di recuperare le tradizioni popolari e legarle alla composizione della città per la rigenerazione di tali valori a livello culturale e/o turistico.

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M. Cante

L’area sacra di Sasso Pisano e le sue acque salutari. Ricostruzione della Stoà

Parole chiave: Santuario, stoà, acque salutari, Volterra, Populonia, edificio termale

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Tra Volterra e Populonia, alla confluenza dei fiumi Cecina e Cornia, in un’area caratterizzata da intense attività geotermiche, scavi degli anni ‘80 del secolo scorso hanno riportato alla luce un complesso architettonico a carattere sacro-salutare con caratteristiche tali da rappresentare un unicum non solo in Etruria settentrionale ma anche in tutta Italia. Il luogo scelto per l’edificazione del santuario è stato determinato da un ambiente naturale particolarmente suggestivo e di grande fascino, ricco di sorgenti calde e fredde, intensi vapori, fanghi bollenti, soffioni che con i loro rumori provenienti dal sottosuolo dovevano suggerire agli antichi abitanti della zona la presenza divina.

Dell’edificio più antico, che il ritrovamento di ceramica a vernice nera fa risalire alla fine del IV secolo a.C., rimangono ancora in situ importanti testimonianze che ne hanno consentito una ricostruzione. Si tratta di un grandioso portico a pilastri rettangolari con due ali, sviluppato su due livelli, realizzato in opera quadrata nelle parti portanti (pilastri, semipilastri, angoli) e tamponature in opus incertum. Il portico doveva costituire un ingresso monumentale ad un tempio, al momento non ancora localizzato, che probabilmente si trovava alle sue spalle in posizione dominante. A determinare forma e dimensioni della stoà concorrono,oltre ai resti delle strutture ancora in situ, anche quelle franate e rinvenute circa 60 metri più in basso. Tra queste il pilastro angolare sinistro, completo di ogni suo elemento, che ha permesso di determinare l’altezza del primo livello.

Il tipo di architettura documentato non è caratteristico della cultura etrusca, ma richiama i grandi santuari  dell’Asia Minore, dai quali sicuramente ha tratto ispirazione. L’architettura classica è stata però interpretata a suo modo dalla tradizione locale, come si può osservare nel rapporto tra le altezze dei pilastri e il loro interasse: le aperture, troppo larghe, mancano infatti di proporzione. L’armonia tra le parti tipica del mondo classico in questo edificio non è assolutamente rispettata. Gli antichi costruttori avevano comunque una notevole conoscenza delle tecniche in uso nel mondo greco, come testimoniano, tra l’altro, incassi di ogni tipo tuttora leggibili sui blocchi.

Nella prima metà del II secolo a.C. l’edificio subisce un’importante trasformazione: un impianto termale che sfrutta le acque circostanti si inserisce infatti all’interno del portico, snaturando definitivamente la sua architettura.

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